Di qua avevo le punte dei piedi, di là avevo confitto le mani, e mi tenevo rabbiosamente aggrappato all'argilla friabile.Da una parte e dall' altra mi si agitavano le falde della giacca.
In fondo rumoreggiava il gelido torrente popolato di trote.
Nessun turista si smarriva fino a quelle impervie altezze, il ponte non era ancora registrato nelle carte topografiche.Così me ne stavo e aspettavo.
Dovevo aspettare.Un ponte, una volta costruito, non può cessare di esser ponte senza precipitare.
Una volta, era verso sera(la prima?la millesima?non so),
i miei pensieri erano sempre confusi e giravo in tondo.
Verso sera,d'estate il torrente scrosciava più buio,uddii un passo d'uomo. A me, a me! Stenditi ponte, mettiti in posizione, trave senza spalletta, reggi colui che ti è affidato.
Pareggia inensibilmente il suo passo incerto, ma se vacilla, fatti conoscere e come una divinità montana scaglialo a terra.
Quello venne, mi percosse con la punta ferrata del bastone, sollevò con essa le mie falde e me le aggiusto' addosso.
Infilò la punta nei miei capelli folti e ve la lasciò a lungo, probabilmente guardandosi ansiosamente intorno.
Ma poi, stavo appunto seguendolo nel sogno per monti e valli, mi balzò in mezzo al corpo a piedi pari.
Rabbrividii per un dolore lancinante, ignaro di tutto.
Chi era? Un bambino? Un sogno? Un bandito? Un suicida? Un tentatore? Un distruttore? E mi girai per vederlo.
Un ponte che si volta!
Non mi ero ancora voltato che già precipitavo e già ero straziato sui sassi aguzzi che mi avevano sempre fissato così pacifici dall' acqua impetuosa.
(Franz Kafka -
racconti, 1917)

Nessun commento:
Posta un commento